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P R O G E T T I . E . R E A L I Z Z A Z I O N I . M U S E A L I
IL CONTRIBUTO DEL MUSEO DELLA CITTA' E LIFELONG LEARNING. UN PERSORSO TRA "MOVIMENTO E MUTAMENTO"


Intervento presentato al Symposium Internazionale Way to Activate Lifelong Education of Urban History Museums, Seoul Museum of History, 3-4 Novembre 2005

Vorrei iniziare il mio intervento partendo dalla V Conferenza Mondiale sull’Educazione degli Adulti organizzata dall’Unesco ad Amburgo nel 1997 e dal documento ufficiale che ne è uscito. Qui si legge che “l’apprendere in età adulta , e durante tutta la vita, può aiutare a ridefinire la propria identità e a dare senso alla propria vita, stimolando a riflettere e a rivedere tematiche quali l’età, le differenze di sesso, di lingua, cultura e status economico, l’handicap…”; il documento continua specificando che ” L’educazione degli adulti comprende sia l’istruzione formale e continua, sia ogni apprendimento informale, sia la totalità di quegli apprendimenti casuali che una società multiculturale offre ove riconosca l’importanza di approcci teorici e pratici.” In questa prospettiva le istituzioni culturali, tra cui i musei, sono state indicate come luoghi ideali per sostenere processi di apprendimento al di fuori di contesti formali e strutturati, come quello scolastico1. I musei – è stato infine esplicitamente ribadito – offrono un ambiente dove è possibile apprendere anche in modo informale e flessibile, sollecitare interessi e curiosità esponendo i visitatori a una pluralità di stimoli – visivi, sensoriali, emotivi – e soprattutto facilitando il contatto con la propria memoria collettiva o con altre culture2
Paul Bélanger (direttore dell’Istituto per l’Educazione dell’Unesco ad Amburgo) ha sottolineato come la domanda in continua crescita di opportunità di lifelong learning stia coinvolgendo tutti gli ambiti della vita professionale, privata e sociale di ciascuno e ha dunque dichiarato che il contributo che possono dare i musei è fondamentale per il miglioramento delle condizioni della vita culturale di diverse fasce della società che spesso restano escluse e discriminate. Ciò può avvenire perché i musei aiutano la gente comune ponendosi con un atteggiamento”amichevole” e non supponente, come per esempio quello accademico. Aiutano la gente ad osservare come si svolge la vita in altri paesi e come si presentava nel passato; stimolano la curiosità delle comunità locali a scoprire le proprie radici; in definitiva permettono ai ”visitatori di viaggiare in scenari e panorami diversi, aiutandoli non solo a prendere le distanze dai propri usi e costumi, basati sulla propria identità, ma a giocare con le differenze, celebrandole, prendendole a prestito e costruendo nuove visioni.”
Anche l’Unione Europea si è esplicitamente inserita nel dibattito e con la Commissione presieduta da Jaques Delors ha ribadito l’urgenza di una formazione non finalizzata esclusivamente all’attività produttiva (dunque una formazione in grado di rispondere alla crisi occupazionale), bensì da considerarsi come una risorsa permanente per la crescita e il benessere di ogni persona, concetto sintetizzato nei quattro “pilastri” del lifelong learning: learning to know, learning to do,learning to live together, learning to be. Con il successivo rapporto Cresson del 1996, l’Unione Europea è partita per avviare progetti e azioni per una ridefinizione dell’istruzione verso una “Learning Society”3 e i Musei sono stati esplicitamente chiamati in causa nello sforzo condiviso di offrire a tutti la possibilità di realizzare le aspirazioni personali individuali, di evitare l’emarginazione sociale, di lavorare insieme per creare una comunità cittadina attiva e consapevole.
Con il programma “Socrates”, l’Unione Europea ha lanciato quattro progetti che si sono susseguiti negli anni aventi tutti lo stesso comun denominatore : il riconoscimento alle istituzioni culturali del ruolo fondamentale in quanto luoghi di apprendimento non formali, capaci di attrarre persone di età e estrazione sociale diverse e di trasferire conoscenze e sviluppare abilità in modi non convenzionali e più conformi alle inclinazioni dei singoli. Il progetto attualmente in fase di completamento dal titolo Lifelong Museum Learning ( la cui sigla è LLML) per il biennio 2005-2006 è finalizzato a promuovere la formazione del personale che nei musei si occupa o si dovrà occupare di educazione per gli adulti. Diverse sono infatti le competenze richieste a chi svolge didattica per le scuole – che in Europa sono ancora i destinatari privilegiati delle attività e dei servizi offerti dai musei – rispetto a quelle di chi si impegnerà a offrire strumenti di crescita e di conoscenza a un pubblico ben più vasto ed eterogeneo che spazia dai teenager agli anziani. Questo progetto – coordinato dall’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia Romagna (Italia) – che ha in calendario la realizzazione di corsi di formazione per il personale da tenersi a Bologna (Italia) (17-18 ottobre 20054), nei Paesi Bassi (aprile 2006), in Portogallo (ottobre 2006), si concluderà con la pubblicazione di un “Manuale per gli educatori museali in ambito di Lifelong Learning” contenente gli esiti del progetto5.
Questo progetto è stato un ulteriore passo verso l’obiettivo di migliorare i servizi offerti dai musei che dovranno essere sempre più capaci di rinegoziare il loro rapporto con diversi tipi di pubblico in risposta a pressanti questioni, quale per esempio l’esclusione sociale. Progetto che ha fatto seguito ai precedenti finalizzati a raccogliere in una banca dati esempi di iniziative educative rivolte agli adulti nei musei degli Stati membri dell’Unione Europea; a formare i cosiddetti “mediatori culturali” cioè coloro che hanno il compito di stabilire contatti tra istituti di educazione per gli adulti e i musei e di progettare occasioni formative; a raccogliere progetti e “buone prassi” riguardanti il longlife learning soprattutto in musei e gallerie d’arte e di condividerle attraverso un sito web6.
La strategia dell’Unione Europea si è dunque sviluppata tenendo conto del bisogno diffuso di trovare risposte non solo alle richieste di nuove e rinnovate professionalità ma anche alle necessità culturali e di crescita individuale all’interno di una società in continuo mutamento e movimento.
Ed è su questi due termine –mutamento e movimento –che caratterizzano appunto oggi la nostra società, che a mio avviso i musei devono concentrare la propria attenzione e le proprie capacità per rispondere in maniera adeguata all’oneroso impegno che viene loro richiesto, poiché, come ha scritto Edwards, i cambiamenti economici, sociali, tecnologici richiedono un apprendimento continuo per permettere agli individui di essere pronti ad affrontare le incertezze che ne derivano7. Un impegno che è per molti musei un’avventura che sta per iniziare o è appena iniziata e che richiederà innanzitutto la consapevolezza della propria missione e dei propri mezzi. Non bisogna infatti dimenticare che attualmente la legislazione della maggior parte dei paesi membri dell’Unione Europea in merito a Lifelong Learning non fa cenno esplicitamente ai musei come privilegiati o comunque auspicati partners nei percorsi formativi per gli adulti e dunque non sostiene ufficialmente le loro iniziative in questo campo8)


Il MUSEO DELLA CITTA’ E THE LIFELONG LEARNING

Sappiamo tutti che non esistono ricette di buona pratica, che magari hanno dato ottimi risultati sperimentate in determinati musei, che possano garantire uguale successo se applicate in maniera indifferenziata. Dunque il mio contributo non darà ricette, non intende avere la presunzione di indicare soluzioni certe e rassicuranti; piuttosto vuole essere una riflessione sul Museo della Città e sul suo ruolo di strumento di educazione permanente (Lifelong Learning) per un pubblico sempre più vasto e diversificato. E sarà proprio il tema del movimento e del mutamento uno dei fili rossi del mio ragionamento, che mi piace introdurre citando due autori che, seppur in contesti culturali e in epoche differenti, hanno affrontato il senso dell’incessante cambiamento della città.
James Joyce nell’Ulisse, romanzo scritto negli anni Venti del secolo scorso, esprime così l’idea del cambiamento che provoca turbamento e fa dubitare della propria stessa identità:
“Un’intera città passa, un’altra ne arriva. Passa anch’essa. Case, file di case, strade, chilometri di marciapiedi, mattoni uno sopra l’altro … ammonticchiati nella città, erosi di secoli.”
A distanza di cinquanta anni Italo Calvino, nel libro Le città Invisibili immaginato come una serie fantastica di relazioni di viaggio che Marco Polo fa a Kublai Kan imperatore dei Tartari nell’intento di scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città , dedica un capitolo al rapporto tra le città e la memoria. Qui inventa una città, Maurilia, che diventa paradigma dei luoghi che non rimangono mai gli stessi poiché –scrive-“talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome, nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro…. Non esiste tra loro alcun rapporto, così come le vecchie cartoline non rappresentano Maurilia com’era, ma un’altra città che per caso si chiamava Maurilia come questa.”
Nei brani appena citati emerge la stessa idea, la stessa consapevolezza della città come qualcosa che non esiste, che rischia di sfuggirci per sempre se cerchiamo di fissarla nel tempo, in un preciso e determinato tempo storico: troppo veloce è il susseguirsi di storie che la coinvolgono e che la modificano radicalmente. Come scrive ancora Calvino, le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, ma questi scambi non sono solo scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.
Dunque le città continuamente prendono nuove forme che a loro volta svaniscono per lasciare il posto alle successive. Le città esistono, o meglio la loro storia esiste se si ammette l’impossibilità a fermarne il ciclo vitale, se si accetta il rischio di perdere la certezza di appartenere a un luogo immutabile e rassicurante.
Riportando queste considerazioni al tema che ci interessa, e cioè al museo della città e al suo ruolo educativo nell’accezione più ampia del termine, viene naturale porsi alcune domande: quale storia dunque può essere raccontata su una città e su chi l’ha abitata? Come è possibile fissare lo sguardo su un periodo, per quanto glorioso e importante che ha visto nascere e consolidarsi la fisionomia e l’identità della città, che poi si è concluso? In che modo quel periodo prescelto a essere rappresentativo di una storia in continua evoluzione ha la potenzialità ancora oggi di diventare strumento per ribadire le nostre identità individuali e collettive? Oppure bisogna raccontare una storia non conclusa, in progress ? E in questo caso, con quale consapevolezza e lucida neutralità possiamo commentare ciò che sperimentiamo quotidianamente nei nostri rapporti interpersonali, nel nostro stare in una forma urbana, nel nostro interagire con luoghi, eventi, con gli onnipresenti mezzi di comunicazione?
Il nodo da sciogliere - museologicamente parlando - è dunque la preponderante presenza del movimento – di persone, di cose, di fatti, di idee, di relazioni - che reclama un’attenzione dedicata in grado di cogliere da questa instabilità (termine che uso senza alcun accento negativo) gli aspetti utili a raccontare una storia, appunto la storia organizzata nel Museo della Città.
Tutti noi sappiamo quanto siano duri a morire i luoghi comuni che coinvolgono i musei, primo fra tutti quello del museo come luogo statico, quasi congelato in una sua forma chiusa, fisicamente e intellettualmente. Ancor più grande e impegnativa appare allora la sfida accettata dai musei che intendono raccontare un “moto perpetuo”, quale è appunto la vita di una città, e far si che questo racconto diventi parte viva della crescita personale e culturale di chi nella città vive, si muove, passa, si sofferma.
E’ come cercare un ritmo armonico tra ciò che si muove fuori dal museo e ciò che è narrato dentro. Fuori-Dentro: è forse allora proprio questo dualismo che deve essere smontato affinché il ritmo diventi unico e condiviso, affinché anche il museo diventi parte del movimento della città.
Che cosa significa concretamente, culturalmente, tecnicamente tutto questo per un museo della città? Significa innanzitutto affermare e d’altra parte negare precise posizioni, consapevolezze e responsabilità: innanzitutto significa considerarsi parte della città.
La città parla, si comunica attraverso strumenti che le sono propri e in luoghi che le appartengono: dalle strade congestionate ai mezzi di trasporto; dai monumenti conosciuti e acclamati internazionalmente ai quartieri periferici. Anche tutto ciò fa parte di un ideale museo della città, cioè di un museo che può avvalersi di questi luoghi e di questi mezzi per narrare aspetti –magari anche circoscritti, specificamente legati a un determinato evento – della storia cittadina. Facciamo un esempio(uno fra i molti che potrebbero essere scelti): chiunque abbia usato la metropolitana parigina avrà negli occhi i pannelli didattici con cui, nelle diverse stazioni, vengono illustrati con estrema chiarezza e sintesi grafica personaggi storici, invenzioni rivoluzionarie, eventi che proprio in quell’ area della città avevano agito o avevano avuto luogo. Sono rapidi flash, ciascuno graficamente riconducibile a una serie (la serie degli uomini illustri; la serie dei grandi cantieri della città, …), adatti ad essere letti, o anche semplicemente guardati da coloro che aspettano i treni del metro, da coloro dunque che sono momentaneamente fermi in attesa di muoversi ancora.
Se dunque, come in questo caso, la Storia è il racconto di ciò che è stato, fissato nel tempo, gli strumenti per raccontarla tengono conto della vitalità della città e di chi la attraversa.
Questo ci porta a una seconda affermazione: il museo della città non può essere confinato negli spazi definiti museali, entro un edificio, per quanto ampio, perfettamente attrezzato, museograficamente aggiornato esso sia. Il museo della città ha bisogno di riversarsi nella città, ha bisogno di interagire con questa, ha bisogno di esserne contaminato. Questo obiettivo può essere raggiunto creando più sedi dello stesso museo disseminate nella città, come alcuni importanti musei hanno fatto ( e penso ad esempio al Museo della Città di Londra che proprio in questa sede ha presentato il suo progetto di ampliamento in tal senso). Lo stesso obiettivo però può essere perseguito anche riconoscendo alla città stessa la capacità di raccontare storie se l’utente è stato preventivamente preparato ad ascoltarle. Dunque in questo caso il ruolo del museo diventa quello di luogo di orientamento (tema su cui torneremo fra poco) in cui i visitatori acquisiscono le conoscenze e gli strumenti necessari per uscire dall’edificio e iniziare un percorso di scoperta o di riscoperta che non avrà la durata di una visita canonica ma potrà durare tutto il tempo necessario a ciascuno per avvicinarsi, incuriosirsi, imparare, riflettere su ciò che la città è ed è stata. Potrà dunque anche diventare – nella migliore delle ipotesi - un training permanente.
E questa riflessione ci porta a un’ultima considerazione: il museo della città, per diventare un’efficace istituzione per l’educazione permanente, deve accettare l’idea che il proprio pubblico è un mondo in movimento con cui interagire per lo più nello spazio aperto della città e del territorio; un pubblico che dedicherà una minima parte di tempo alla stanzialità all’interno dell’edificio museo ma che potrà essere coinvolto in percorsi di conoscenza e di apprendimento se saranno sapientemente sfruttati i luoghi e i gesti della quotidianità, quali appunto aspettare un metro.
Paradossalmente, il museo dovrà “spingere fuori” il proprio pubblico e sollecitarlo a trovare nella città il riscontro e l’aggiornamento di ciò che nelle sale espositive è stato solo evocato.
E’ a mio avviso da leggere in questo senso anche il progetto dell’Unione Europea Socrates/Museums, Keyworkers and Lifelong Learning sviluppato nel 1998 per identificare e documentare maniere innovative con le quali i keyworkers (che possono essere identificati nello staff del museo, negli educatori, negli operatori attivi presso comunità o in altri addetti a servizi pubblici) possono collegare il museo – quale risorsa culturale per l’apprendimento – ai potenziali discenti nella città. Uno dei partners del progetto è stata la città di Stoccolma che ha deciso di rivolgersi con un programma di corsi( per lo più svolti con passeggiate nella città) a coloro che in modi differenti lavorano e attraversano quotidianamente Stoccolma, come i conducenti di bus, i poliziotti, i tassisti,i wardens traffic e così via. L’idea è stata quella di pensare che se questi professionisti avessero saputo più cose sulla città in cui vivono e operano, avessero conosciuto meglio la sua storia, i suoi monumenti, la sua cultura, si sarebbero sentiti più sicuri e si sarebbero aperti con maggior disponibilità ai turisti e in generale al pubblico e soprattutto avrebbero percepito di giocare un ruolo importante nella vita e nella cultura cittadina. Il risultato è stato che l’entusiasmo con cui sono stati seguiti i corsi e con cui questi operatori hanno cominciato a comunicare ciò che avevano appreso ha innescato un nuovo interesse e un diverso coinvolgimento nei residenti locali, nelle famiglie, tra i compagni di lavoro, creando dunque una diffusione a cerchi concentrici di rinnovata consapevolezza a beneficio del singolo individuo e della città stessa, che ha così trovato attivi e coinvolgenti “strumenti” di comunicazione della propria storia e identità.
Si può dunque dire che con questo progetto è stato individuato nei keyworkers –definiti anche “living ambassador” - l’anello di congiunzione tra il museo e la città in movimento.

Entriamo adesso nel merito degli strumenti che la museografia e la museologia mettono a disposizione per consentire di progettare percorsi di conoscenza dedicati alla città.
Innanzitutto per immaginare l’inserimento vitale del museo nella città, come quello che abbiamo prima ipotizzato, è fondamentale che il museo possa contare su ottime relazioni con le altre istituzioni cittadine, politiche, amministrative e culturali. So che può sembrare pleonastica questa raccomandazione, ma purtroppo sappiamo quanto invece possa essere complesso, e talvolta impossibile, il raggiungimento di questo obiettivo. In altri termini, è come se ciascuna istituzione, ufficio, dipartimento che opera nella e per la città si sentisse partecipe del progetto museale e dunque decidesse di diventare - potremmo dire - un’antenna periferica del museo stesso pronta a offrire la propria specifica competenza e a mettere a disposizione i propri strumenti affinché il progetto di educazione permanente si diffonda capillarmente e efficacemente.
Come è stato ribadito anche da Pat Davies, Segretario di EUCEN, il Network di Università Europee per Lifelong Learning, è prioritario che le università, gli enti di formazione professionale e di educazione degli adulti e le organizzazioni culturali, compresi i musei, comincino a collaborare e a scambiare esperienze pur nella diversità degli specifici approcci e metodologie. E io aggiungerei all’elenco anche i molteplici dipartimenti delle amministrazioni cittadine, (da quello del traffico e viabilità a quello dei lavori pubblici, e così via), ciascuna in grado di offrire un proprio specifico contributo affinché la città diventi un “cantiere” per l’educazione permanente.
Obiettivo, questo, sicuramente non semplice ma prioritario per il museo della città che intenda enunciare gli elementi portanti della specificità della città nel tempo-elementi che ancora sono la struttura del presente e del futuro del luogo e della sua comunità- in una sorta di “archivio” da consultare e da cui trarre documentazione e ispirazione. Come scriveva Walter Benjamin, la continua mediazione tra passato e presente è il ruolo stesso di ogni pezzo da museo, nei riguardi del quale ci si aspetta che un pubblico adulto sia capace di “abbandonare l’atteggiamento placido e contemplativo di fronte all’oggetto per divenire cosciente della costellazione critica in cui proprio questo frammento del passato si trova esattamente con questo presente.”
E’alla costituzione di questo “archivio-museo” che possono e dovrebbero partecipare tutte le istituzioni cittadine.
Come è stato ampiamente ricordato dai colleghi che mi hanno preceduto negli anni passati in questa sede, il percorso del Museo della città è a carattere prevalentemente storico, intendendo con questo aggettivo che l’esposizione verte su idee, configurazioni sociali, economiche, politiche, culturali che hanno interessato la città; verte su riletture critiche di fatti quotidiani e di eventi eccezionali che hanno prodotto anche oggetti.
Ed è proprio sull’avverbio anche che è opportuno soffermarci: gli oggetti esposti in un museo dedicato a raccontare l’evoluzione dell’identità di una città sono le testimonianze materiali di processi sociali, religiosi, economici, di valori culturali.
In definitiva i prodotti dell’”ingegno umano” sono offerti allo sguardo del visitatore in un contesto che tende a valorizzarne più che la singola specificità artistica, materica, tecnica, piuttosto la loro qualità a rappresentare in maniera appropriata e sintetica fatti, idee, dogmi, progetti.
“Basta ai più una gemma qualunque per giungere a una visione generale e completa della natura” scriveva Plinio nel libro XXXVII della Naturalis Historia a proposito del collezionismo di pietre assai diffuso a Roma in epoca imperiale, e in questo compendio magistralmente espresso emerge il valore evocativo dell’oggetto allestito in un contesto a carattere storico. All’oggetto esposto infatti viene riconosciuto il ruolo di medium di un intero sapere, esso diventa il simbolo di una categoria del sapere, di un’epoca, di una civiltà, di una tendenza artistica, di un luogo, di un fenomeno naturale, di qualcosa, insomma, che non possiamo attingere direttamente nella sua interezza.
E’ ciò che la museologia chiama “risonanza”, definita con grande chiarezza da Stephen Greenblatt come “ … il potere di cui è dotato l’oggetto esposto di varcare i propri limiti formali per assumere una dimensione più ampia, evocando in chi lo guardi le forze culturali complesse e dinamiche da cui è emerso e di cui l’osservatore può considerarlo un campione rappresentativo.”
Ecco dunque che ritorna l’idea dell’evocazione, a cui abbiamo più volte accennato in precedenza: evocare significa letteralmente presentare alla mente per suggestione della memoria. E la memoria, come e dove si è costruita? Certamente attraverso percorsi di studio, ma sicuramente anche su percorsi esperienziali che ciascuno di noi ha fatto e fa nella propria quotidianità. Quotidianità che in larga misura si esprime nella città, quella città a cui dunque l’evocazione rimanda per trovare riscontri, conferme, approfondimenti ma anche cambiamenti, correzioni, nuove chiavi di lettura a ciò che la memoria ci ha consegnato.
Evocare diventa dunque una strategia chiara di percorso per i musei strettamente legati alla città e al suo divenire e parte del suo incessante movimento e mutamento.
A questo proposito paiono particolarmente illuminanti le parole di una museologa americana (Gaynor Kabanagh) che scrive: “In definitiva l’allestimento presenterà l’oggetto in una forma di realtà negoziata fra tutto quello che l’oggetto può rappresentare, le necessità dell’allestimento, l’ideologia generale del museo, le competenze e gli interessi dei curatori.” 9
Ciò significa che ogni museo parla la lingua del proprio tempo, della società di cui diventa strumento di rappresentazione, della cultura di coloro che sono stati chiamati a progettarlo: una lingua che si evolve e che si trasforma, mutando il rapporto tra i significati e i segni, cioè gli oggetti, essi stessi parole che vanno strutturate in un discorso.
In un museo così impostato un ruolo importante sarà giocato anche dagli strumenti e dalle installazioni che la virtualità e la multimedialità mettono oggi a disposizione per i musei; infatti proprio per sottolineare ancora una volta che il servizio educativo del museo non si esaurisce nelle sue sale ma rimanda a ciò che sta fuori, appare auspicabile l’ affiancamento degli oggetti-documento agli apparecchi, schermi, simulazioni, installazioni interattive, a tutto ciò che rientra potremmo dire nella sfera virtuale- tecnologica e che aiuta a uscire, rimanda a patrimoni , materiali e immateriali, conservati nella città e sul territorio. Questi strumenti amplieranno ulteriormente le potenzialità del museo di presentarsi come luogo di orientamento, orientamento che può essere inteso in due accezioni tra loro complementari: da una parte per percorsi di apprendimento e per conoscenze sulla storia della città che potranno essere perseguiti uscendo dal museo(inteso come luogo fisico). Dall’altra, orientamento inteso in senso più ampio come servizio offerto al pubblico: come infatti è stato osservato, il crescente carico di responsabilità posto sugli adulti, in quanto discenti autodidatti a cui spetta il compito di costruire il proprio percorso di apprendimento, rende questo servizio decisamente necessario. Al museo viene dunque riconosciuto anche il ruolo fornire con competenza e professionalità orientamento e consulenza imparziale sulla gamma delle proposte formative offerte dai musei, le possibilità e i percorsi di qualificazione,i collegamenti con altri enti poiché i musei “hanno l’importante ruolo di sensibilizzare le persone sulle questioni che sono essenziali per l’intera comunità.” 10
In conclusione, l’immagine che potrebbe rappresentare il Museo della città oggi è ancora una volta un’immagine legata al movimento e ai luoghi di passaggio: è quella di un “Hub”, l’aeroporto in cui si incrociano, partono, arrivano percorsi diversi e opposti, aperto a tutto il mondo; punto di incontro e di sosta per ripartire poi per nuovi itinerari.

L’ARTE INTERATTIVA: UN ESEMPIO DI EVOCAZIONE MUSEALE

L’importanza delle tecnologie digitali -nella accezione più vasta- applicate alla didattica museale è stata da tempo accertata e accettata internazionalmente: non solo queste facilitano e/o accelerano l’apprendimento ma permettono attività che altrimenti sarebbero impossibili. Inoltre – e questo è per noi particolarmente interessante- esse offrono nuovi approcci all’apprendimento per pubblici differenti con differenti obiettivi.: infatti “in the digital age, learning can and must become a daylong and lifelong experience” 11. In particolare, “lifelong learning, museums and digital technologies share many of the same attributes, with emphasis on learning from objects (rather than about objects) and on strategies for discovering information (rather than the information itself)” 12
Dopo questa doverosa premessa, vorrei presentare un esempio di come i musei, e dunque anche i musei della città, possano avvalersi di strumenti diversi dai canonici oggetti/documenti per attuare i propri progetti educativi nei confronti di un pubblico sempre più esigente, partecipe e attivo.
Mi riferisco a un particolare ambito della multimedialità, cioè alle opere d’arte digitale interattive: queste, come sappiamo, coinvolgono lo spettatore in prima persona, tanto da risultare inerti e insignificanti in sua assenza, dispiegandosi solo nel momento in cui egli interagisce con esse. Ciò significa che viene attribuito un ruolo importante alla corporeità, all’interazione spontanea e talvolta involontaria del corpo dell’utente (un suo gesto,un suo spostamento, un suo passaggio) con l’opera. Opere che molto spesso fanno leva sulla nostra naturale capacità di provare stupore, sentimento che è un formidabile generatore di curiosità e un potenziale motore di conoscenza.
Inserire queste installazioni in un museo significa attribuire al visitatore un ruolo decisivo nella narrazione della storia: solo lui infatti con il proprio corpo in movimento, o con la propria voce, con il proprio gesto consapevole o spontaneo mette in moto il racconto che senza di lui rischia di non esistere. Fa dunque parte della storia, ne è artefice con la sua azione , per quanto minima e apparentemente insignificante. Questo meccanismo, se non degenera a causa di un’eccessiva fiducia nella forza spettacolare della tecnologia in quella che è stata chiamata la sindrome del Tamagochi (visto, giocato, capito, dimenticato), riduce la passività nell’apprendimento e stimola la consapevolezza di una personale ricerca e di una crescita individuale condivisa con tutti coloro che seguiranno un simile percorso.

Vorrei concludere con una frase di Henry Cole che fu il primo direttore del South Kensington Museum, oggi Victoria & Albert Museum di Londra, che nel 1853 scriveva:
“[A] Museum presents probably the only effectual means of educating the adult, who cannot be expected to go to school like the youth, and the necessity for teaching the grown man is quite as great as that of training the child.



NOTE :

1
Per meglio distinguere le differenti qualità dei molteplici tipi di apprendimento, si può operare questa suddivisione indicata dalla Unione Europea:
apprendimento formale :un tipo di apprendimento che avviene in un ambiente formale di istruzione e formazione e che normalmente sfocia in una qualifica; apprendimento non formale: un tipo di apprendimento strutturato e organizzato che non sfocia in una qualifica; apprendimento informale: un tipo di apprendimento che avviene nell’ ambito della vita familiare, sociale e civica, non necessariamente intenzionalmente.
Nell’ambito del riconoscimento e valutazione , la Unione Europea attribuisce a questa definizione significati diversi a seconda dei contesti:
può indicare un processo informale di consulenza/orientamento mediante il quale un individuo può ottenere il riconoscimento delle abilità , delle conoscenze e delle competenze acquisite; può indicare un processo formale avviato dalle imprese o dagli enti d’istruzione e formazione che sfocia nel riconoscimento dell’apprendimento informale e non formale per accedere ad un posto di lavoro, a un programma di formazione o a un corso finalizzato all’ottenimento di una qualifica; può indicare un processo formale avviato dalle imprese o dagli enti d’istruzione e formazione che porta al riconoscimento dell’apprendimento informale e non formale finalizzato all’avanzamento di carriera nell’ambito di un posto di lavoro o all’ottenimento totale o parziale di una qualifica.


2
Riportiamo qui i primi tre paragrafi del documento in cui sono sintetizzati gli obiettivi prioritari:
“A. Noi, partecipanti alla Quinta Conferenza Internazionale sulla Educazione degli Adulti, nella libera città anseatica d'Amburgo, riaffermiamo che soltanto uno sviluppo centrato sull'umanità e una società partecipata che si basi sul pieno rispetto dei diritti umani, possono guidare verso uno sviluppo equo ed adeguato. Solamente una partecipazione consapevole e informata d'uomini e donne, in ogni sfera della vita può permettere all'umanità di sopravvivere e vincere la sfida del futuro.
B. L'educazione degli adulti diviene per questo più di un diritto; è la chiave di volta del ventunesimo secolo, poichè appare sia come una conseguenza di una partecipazione attiva dei cittadini, sia come una condizione di una piena partecipazione alla vita sociale. E' un concetto forte a sostegno di uno sviluppo coerente dal punto di vista ecologico e democratico, promotore di giustizia e d'equità, e di una spinta scientifica, sociale ed economica, indirizzati alla costruzione di un mondo, in cui il conflitto violento sia sostituito dal dialogo e da una cultura della pace, basata sul senso di giustizia. L'apprendere in età adulta, e durante tutta la vita, può aiutare a ridefinire la propria identità e a dare senso alla propria vita, stimolando a riflettere e a rivedere tematiche quali l'età, le differenze di sesso, di lingua, cultura e stauts economico, l'handicap.
C. L'educazione degli adulti concerne l'intero corpo di processi, messi in atto formalmente o meno, nei quali le persone che la società cui appartengono considera adulti, sviluppano abilità, arricchiscono conoscenze e migliorano o aggiornano, per meglio rispondere a propri bisogni o della propria società, competenze tecniche e professionali. L'educazione degli adulti, dunque, comprende sia l'istruzione formale e continua, sia ogni apprendimento informale, sia la totalità di quegli apprendimenti casuali che una società multiculturale offre ove riconosca l'importanza di approcci teorici e pratici.”
L’anno precedente si era tenuto a Verona un incontro con l’ European Research Institute on Lifelong Learning da cui era scaturita la seguente Charta sull’Educazione degli Adulti:

“Le trasformazioni in atto nella nostra società - politiche, economiche, ambientali, culturali e sociali
- pongono compiti e responsabilità nuovi a individui, gruppi e istituzioni.
In particolare:
-la partecipazione alla vita democratica e la promozione della pace richiedono ad ogni cittadino un alto grado di capacità di informazione, confronto e giudizio, nonchè di iniziativa per condurre azioni individuali e collettive. o le nuove tecnologie dell'informazione e il loro impetuoso sviluppo esigono dagli adulti. oltre che disponibilita all'adattamento, anche conoscenza critica degli scopi e delle conseguenze e capacità di controllo sugli stessi; o il contatto diretto fra etnie, culture e religioni diverse, a seguito della mondializzazione della economia e della informazione, richiede a singoli e gruppi sociali un radicamento più profondo e critico nella propria identità culturale e, al tempo stesso, apertura a comprendere e ad apprezzare forme di alterità; o la salvaguardia della natura e delle risorse, per la vita individuale e sociale e per le future generazioni , comporta lo sviluppo di una conoscenza approfondita dei problemi ambientali, nonchè la capacità di condurre azioni conseguenti, prendendo decisioni individuali e collettive, assumendone responsabilità e rischi.
Ed essendo inoltre evidente che:
-è diritto di ognuno poter accedere ad una istruzione di alto livello e di qualità per tutto l'arco della vita, in modo continuativo, partendo dal proprio percorso di esperienza di vita. o l'esperienza di vita di cittadino adulto costituisce la più solida base per lo sviluppo della propria identìtà culturale e sociale. o azioni mirate alla crescita culturale dei cittadini producono anche capacità di stabilire nuove relazioni sociali e favoriscono la crescita della comunità, o la costruzione dell' Europa è compito di cittadini adulti. o ai cittadini lavoratori vanno offerte opportunità adeguate un percorso continuo di formazione,aggiornamento e riqualificazione, affinchè possano rimanere inseriti nel lavoro che cambia.
noi sottoscritti ci impegnamo a contribuire a rimuovere ogni ostacolo di carattere istituzionale, sociale, culturale, di genere ed economico che si frapponga fra gli individui e il loro sviluppo umano e culturale lungo tutto l'arco della vita e a prendere iniziative sulla base delle linee e dei principi esposti.
La Charta, sottoscritta da numerose personalità politiche e culturali, è stata redatta da Stefania Bergamini e approvata da: Peter Alheit, Direttore del Dipartimento degli Adulti dell'Università di Gotinga, Duccio Demetrio Cattedra di Educazione degli Adulti dell'Università Bicocca di Milano, Paolo Federighi, Presidente de EAEA- European Association For the Education of Adults, Paolo Orefice, Cattedra di Educazione degli Adulti Università di Firenze.

3
Commissione Europea , Libro bianco su istruzione e formazione. Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva, 1996

4
Il corso si è rivolto a direttori, conservatori e responsabili dei servizi educativi e a quanti si occupano di mediazione culturale nei musei o in altri istituti culturali. I partecipanti sono stati poi suddivisi in tre gruppi per discutere e scambiare esperienze sui seguenti temi: Family Learning, coordinato da JUDI CATON (Consulente museale); Programmi innovativi per pubblici adulti, coordinato da CRISTINA DA MILANO (Eccom); La componente educativa di mostre e allestimenti, coordinato da MASSIMO NEGRI (European Museum Forum).
Il programma assai ricco ha avuto i seguenti interventi:
lunedì 17 ottobre
FRANCESCO FLORENZANO, Università Popolare Roma, Lifelong learning in Italia: lo stato dell’arte
PAOLA ARMAROLI, Assessorato Formazione Professionale Regione Emilia-Romagna,
La valorizzazione degli apprendimenti acquisiti: riflessione e dibattito tra Regioni e Province Autonome
I programmi per adulti nei musei dell’Emilia Romagna sostenuti dal progetto LLML:
CARLA BERNARDINI, Collezioni Comunali d’Arte Bologna, Percorsi sul ritratto
ELISABETTA FARIOLI, Musei Civici Reggio Emilia, La città raccontata: dalla rappresentazione alla partecipazione
SONIA CAMPRINI, Museo del Cielo e della Terra San Giovanni in Persicelo, La scienza a tavola
LORETTA SECCHI, Università Primo Levi e Museo Tattile Anteros dell’Istituto Cavazza Bologna, L'educazione estetica negli adulti: verso un'integrazione di facoltà sensoriali e cognitive
ELENA ZANFRONI, Università Cattolica del Sacro Cuore Milano, L’educazione degli adulti: dalla teoria alla pratica
JUDI CATON, Consulente mussale, Family learning: al museo con la famiglia
Martedì 18 ottobre
KAIJA KAITAVUORI, Finnish National Gallery Helsinki, Programmi per nuovi pubblici: il caso dei grupi aziendali
CRISTINA MORIGI GOVI, Museo Civico Archeologico di Bologna, programmi per bambini genitori
JULIETTE FRITSCH, Victoria & Albert Museum London, Interpretare le collezione: un approccio orientato al visitatore
HENNEKE KEMPEN, Maritime Museum Rotterdam, Progettare attività espositive per pubblici diversi

5
Per maggiori informazioni sul progetto e sulle attività formative previste per il personale museale coinvolto nelle attività di educazione per gli adulti, si può consultare il sito www.amitie.it/llml

6
Il sito di quest’ultimo progetto, che si intitola “Collect & Share”, è www.collectandshare.eu.com
Una sintesi esplicativa dei progetti sopra ricordati la si può trovare in M.Sani (ed.), Musei e Lifelong Learning. Esperienze educative rivolte agli adulti nei musei europei, Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia Romagna, Bologna 2004

7
R.Edwards, Recent Thinking in Lifelong Learning,citato in A.Chadwick, Un breve excursus sui musei e la formazione continua post scolastica in M. Sani (ed.) op. cit.p.21

8
Per un quadro delle politiche di ciascun paese dell’Unione su Lifelong Learning si può consultare il sito www.eurydice.org

9

Gaynor Kabanagh, Making histories, making memories in idem (ed.) Making Histories in Museums, Leicester Un. Press, Londra e New York 1996

10
A. Chadwick,op. cit. pp. 22-23

11
M.Resnik, Rethinking learning in the digital age, citato nel report di Roy Hawkey, Learning with digital technologies in Museums, Science and Galleries pubblicato nel sito di NESTA Futurelab (www.nestafuturelab.org/research/reviews/09_02.htm)

12
ibidem