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P R O G E T T I . E . R E A L I Z Z A Z I O N I . M U S E A L I
IL RUOLO DEL COMITATO INTERNAZIONALE DIMORE STORICHE MUSEO NELLO SVILUPPO DEI PROGETTI INTERNAZIONALI DELLE CASE MUSEO
In Case-Museo a Milano: esperienze europee per un progetto di rete, atti del convegno tenutosi a Milano, 16 maggio 2005
Il Comitato Internazionale Dimore Storiche Museo (DEMHIST) nasce nel 1998 a Melbourne durante la Conferenza mondiale ICOM, con lo scopo di dare voce a una tipologia museale, appunto quella delle case museo, fino ad allora considerata come un’appendice dei musei di arte decorativa, o delle pinacoteche, o dei musei storci, a seconda del prevalente nucleo delle raccolte lì conservate e esposte. Nasce con lo scopo cioè di riconoscere alle case museo una specifica, propria identità, non sovrapponibile ad altre tipologie di musei;una specifica, propria capacità di comunicare e raccontare storie, di educare; una propria, specifica museologia e museografia nell’affrontare gli ambiti in cui si esplicitano le attività e i servizi di un museo.
I luoghi dell’abitare hanno così voluto ribadire che visitare una casa divenuta museo è oggi un’esperienza diversa rispetto al visitare un qualunque altro museo, poiché il patrimonio che vi troveremo non è solo materiale e visibile ( gli oggetti più o meno beli, importanti a cui i musei “classici” ci hanno abituati) ma ancor più immateriale e allusivo (abitabilità , riti sociali, “gusto”).
Ciò che viene musealizzato, conservato e tutelato va dunque oltre le stesse, spesso preziose, testimonianze di una vita o di più vite che si sono incrociate negli stessi ambienti abitati ( gli arredi, gli oggetti di uso quotidiano e quelli per le occasioni di rappresentanza): sono valori, quali appunto i ruoli familiari, la classe sociale di appartenenza, il gusto e la ricchezza dei padroni di casa, che sottendono la costruzione (simbolica e reale) della casa e che si avvalgono degli oggetti esposti per facilitare la comprensione del racconto, così come i libri di storia si avvalgono delle “illustrazioni” per puntualizzare, focalizzare, evocare eventi, fatti, idee.
Il Demhist- come gli altri comitati internazionali istituiti all’interno di Icom- è aperto a tutti i colleghi e professionisti che vogliano partecipare alla riflessione e al dibattito sui temi che coinvolgono le case museo: dal restauro alla comunicazione; dal rapporto con il pubblico al delicato equilibrio tra contenitore e contenuto e tra dimora e ambiente circostante.
Dopo questa rapida introduzione al Demhist, vorrei adesso dedicare una riflessione al progetto che stiamo portando avanti da alcuni anni dedicato alla classificazione delle differenti sotto tipologie di case museo e che penso possa essere uno strumento utile anche per impostare insieme la strategia della rete delle case museo milanesi e lombarde. .
Presentai questo progetto a Sanpietroburgo nel 1999 durante la prima assemblea del Comitato Internazionale Dimore Storiche Museo
L’ipotesi di lavorare su questa strada era stata avanzata al convegno internazionale di Genova del 1997 dal titolo “Abitare la Storia”: in quella sede avevo elencato una serie di tipologie di dimore museo, sottolineando come a ciascuna di esse corrispondesse o potesse corrispondere un differente approccio nel definire il percorso museale, nell’elaborare strategie di comunicazione e di didattica per il pubblico, nell’affrontare problemi di restauro e di conservazione. Le tipologie individuate erano: palazzi reali, case dedicate agli uomini illustri; case create dagli artisti; case dedicate a uno stile o a un’epoca; case testimoni di storie familiari; case di collezionisti; case dedicate alla storia di particolari fasce sociali; dimore storiche utilizzate per ospitare raccolte museali differenti e non legate alla storia della dimora.
Ciascuna di queste tipologie ( prese ad esempio e non da considerarsi come esaustive di tutto il panorama internazionale) è infatti portatrice di narrazioni diverse che dipendono da dove si intenda far battere l’accento: dipendono cioè dalla scelta di insistere sulla singola personalità che aveva abitato la casa, o dalla scelta di puntare su una dimensione sovrapersonale per aprire una finestra su un tema sociale o culturale di un determinato periodo storico, o dalla scelta di puntare su una categoria professionale (per esempio case di scrittori) o dalla scelta di valorizzare una specifica qualità e/o identità locale o nazionale.
A ciascuna di queste ( e molte altre ) tipologie corrisponde una propria specifica qualità di “risonanza”, cioè corrisponde una peculiare capacità di stimolare nel visitatore una serie di rimandi che lo porteranno ad avvicinarsi, e nel migliore dei casi, a comprendere una cultura, un modo di vivere della società.
Con questa consapevolezza e con l’obiettivo di fornire uno strumento utile ai professionisti grazie al quale possano riconoscersi in una determinata sottotipologia e dunque confrontarsi con analoghe dimore museo che hanno fatto stesse scelte di narrazione e di comunicazione, e dunque museologiche e museografiche, è stato impostato il progetto di classificazione.
Il primo risultato è stata l’elaborazione di una scheda che raccoglie i dati “anagrafici” della dimora divenuta museo e informazioni in grado di individuare alcune differenze di massima nell’impianto museologico ( dalla scelta dei criteri di restauro a quella dei criteri di allestimento; dagli strumenti di comunicazione adottati alla chiave di lettura del patrimonio esposto proposta ai visitatori). La scheda è stata pubblicata negli atti del congresso Demhist di Genova, dopo che erano stati raccolti commenti e suggerimenti da parte dei colleghi che avevano voluto partecipare al lavoro: a questa prima fase hanno partecipato 22 case museo
In questi ultimi anni l’opinione che la generica definizione di casa museo possa e debba essere sempre più precisamente specificata, al fine di offrire migliori servizi al pubblico e più ampiamente alla collettività, si è sensibilmente diffusa internazionalmente tra i colleghi: testimonianza ne sono i lavori di Conny Bogard e di Charlotte Smith pubblicati negli atti del convegno di Amsterdam del 2002.
In questi anni hanno continuato ad arrivare schede compilate da colleghi impegnati nelle dimore museo di tutto il mondo, materiale che ha fatto emergere la possibilità di raggiungere nuovi obiettivi: oltre al primo che ci eravamo dati, cioè favorire scambi di esperienze museologiche e museografiche tra professionisti impegnati in musei che condividono l’appartenenza a una determinata area e dunque che hanno in comune requisiti e prospettive, si è evidenziata l’opportunità di sostenere e stimolare con questo progetto la creazione di reti di case museo che offrano ai visitatori la continuità di una esperienza che si snoda tra dimore tra loro complementari.
In questo senso, finalmente stiamo realizzando un database con i dati raccolti nelle schede, materiale che presenteremo a Lisbona e che sarà consegnato al nuovo board (che a Lisbona sarà appunto eletto) affinché possa essere messo in rete e utilizzato nella maniera migliore: ci auguriamo che il progetto di sistemazione delle case museo possa diventare un laboratorio internazionale in continua evoluzione e in stretta collaborazione con altri progetti attivati con obiettivi simili.
E che soprattutto trovi una sua utilità anche nel progetto per cui siamo oggi qui a riflettere insieme.
Lavorando in questi anni sul progetto di classificazione e in generale sul tema delle case museo, è emerso inoltre un importante dato che ci ha portato a ulteriori considerazioni che sono alla base del nostro lavoro museologico: è emersa cioè la vastità e la diversità della gamma di definizioni con cui le case museo sono interpretate e indicate le case museo. L’iniziale definizione di dimora museo in base alla quale era stato costituito il comitato Demhist a Melbourne nasceva da una riflessione tutta italiana che- in considerazione del patrimonio nazionale- poneva l’accento sull’imprescindibile e originale rapporto tra edificio e collezioni. Definizione che però non è completamente condivisa in paesi, come per esempio gli Stati Uniti, in cui la specificità della casa museo risiede per lo più nella persona o famiglia che l’ha abitata, nella loro posizione nella società, nella loro professione: e dunque nell’”aura”- potremmo dire- che queste persone hanno lasciato. O ancora –a titolo esemplificativo- in paesi ( e penso per esempio alla Svizzera) in cui la dimora museo diventa segno distintivo di un territorio a prescindere dal patrimonio che espone che talvolta non è assolutamente coerente con l’edificio e con la sua storia; diventa cioè elemento di forte suggestione e di grande impatto comunicativo per sottolineare la ricchezza e la nobiltà delle radici della cultura locale.
Dunque è emersa la necessità di cercare insieme una definizione in cui la comunità dei professionisti coinvolti a molteplici livelli nella gestione delle case museo possa riconoscersi; per rispondere a questa esigenza Demhist sta organizzando un forum in rete( che dovrebbe già essere attivo entro fine giugno) per dar vita a un dibattito che speriamo porti alla discussione, durante la prossima assemblea generale di Lisbona, di una nuova e più soddisfacente definizione di casa museo. Un analogo tentativo era stato avviato nei mesi scorsi dall’Associazione Americana Musei di Interesse Locale, da un recente contatto avuto con la presidente di questa associazione, Terry Davies, sembra però che ad oggi prevalga la scelta di lasciare ad ogni casa museo la libertà di auto definirsi: la libertà cioè di definire che cosa significa essere casa museo. Questo atteggiamento sottolinea a mio avviso un elemento cardine dell’approccio americano ai musei, e cioè il fatto che il museo giustifica la sua esistenza e il suo ruolo in stretta relazione con la comunità che lo ha voluto. Il suo punto di partenza, il suo riferimento e il suo primo ambito e obiettivo di comunicazione è il luogo in cui si trova e la gente che lì vive, con la sua sensibilità, con la sua immedesimazione nel patrimonio conservato e esposto , con le sue aspettative nei confronti del museo che è tutore di memoria e strumento attivo della vita sociale.
Appare dunque chiaro come la teoria definita dalla museologia americana “dei vicini di casa” (neighborood) applicata alle case museo faccia battere l’accento sull’autonomia in ambito locale della definizione e del significato attribuito alla dimora perché la casa è portatrice privilegiata di memorie legate a una persona o a una famiglia che proprio in quel luogo, in quel paese o città ha costruito e lasciate tracce che hanno avuto e magari ancora oggi hanno ripercussioni nella vita e sugli abitanti del posto.
Ma questo atteggiamento è a mio parere assai rischioso: infatti lasciare totale discrezionalità ad ogni singola casa museo non sulla definizione della propria identità (processo prioritario e indispensabile come ho avuto modo di sottolineare precedentemente) ma sullo stesso significato di casamuseo mi pare apra la strada al grosso rischio di isolare ogni esperienza in se stessa; di creare cioè i presupposti per negare o per lo meno rendere assai difficili scambi di esperienze, condivisione di strategie operative, gestioni condivise di progetti, sostanzialmente rendere impossibile la creazione e il buon funzionamento di reti territoriali e sovraterritoriali di case museo, obiettivo per il quale siamo riuniti qui oggi.
Vorrei concludere con due considerazioni: la prima riguarda il grande impegno professionale che il Museo (e qui intendo parlare dell’”istituzione museo”) si accinge a affrontare quando acquisisce il patrimonio “casa”, perché una casa- in maniera più o meno evidente- è comunque la “forma” della storia di chi quella casa ha voluto, costruito, arredato, abitato.
La responsabilità e la sfida raccolta dunque dai professionisti impegnati nelle case museo è quella di rendere patrimonio comune, cioè generalmente condivisibile e comprensibile, ciò che per definizione era privato; un patrimonio fatto di cose, di gesti, di spazi, di persone, che poteva essere ostentato o nascosto ma che restava comunque un’invenzione privata e personale.
Nell’ammettere che tale patrimonio debba essere conservato perché possa diventare un bene comune vi è dunque la convinzione che, nonostante le difficoltà di musealizzare cioè di rendere pubblico un luogo carico di riferimenti personali e intimamente legato a azioni, riti, passaggi che ne attraversavano le stanze, solo la casa sia in grado di raccontare con un linguaggio proprio risvolti di una società, di un’epoca, di un periodo artistico che altrimenti andrebbero irrimediabilmente perduti.
E ciò è possibile poiché la casa, nonostante sia il prodotto di un ristretto nucleo di persone ( la famiglia, più generazioni di una famiglia, un individuo, più famiglie che vi si sono succedute), può svolgere il ruolo di medium di un intera complessa rete di saperi – sapere politico, culturale, artistico, produttivo- grazie, come ho già detto,al suo potere di “risonanza”: potere in virtù del quale la dimora varca i propri limiti fisici e formali per assumere una dimensione vasta e sovrapersonale, evocando in un solo visitatore o in un numero imprecisato di visitatori l’humus sul quale è stata costruita e del quale viene considerata un campione rappresentativo. E in questo processo le professionalità e le competenze impegnate nel museo svolgono un ruolo determinante
La seconda considerazione riguarda la grande modernità delle case museo, proprio per quelle caratteristiche che abbiamo appena analizzato; vale a dire per la sua intrinseca capacità di proteggere e valorizzare patrimoni “immateriali”, patrimoni di cultura, di senso, di rituali. E proprio nella nuova definizione di Museo adottata da Icom nell’ottobre 2004 in occasione dell’Assemblea Generale di Seoul, è stata inserita ufficialmente la frase che il Museo “è aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente”. E in questo senso mi sembra che la casa museo possa rappresentare a pieno diritto un aspetto del vasto e magmatico ambito dell’immateriale.
Milano, Maggio 2005
Rosanna Pavoni
Presidente Comitato Internazionale Dimore Storiche Museo /ICOM
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